3. - Il ricorso è solo parzialmente fondato.
3.1. - Il primo motivo di impugnazione - con cui si deduce l'erronea applicazione dell'art. 494 c.p., perchè l'imputato avrebbe utilizzato i dati anagrafici della vittima solo per iscriversi al sito di aste on-line, partecipando poi alle aste con un nome di fantasia - è infondato.
Deve rilevarsi che - contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente - la partecipazione ad aste on-line con l'uso di uno pseudonimo presuppone necessariamente che a tale pseudonimo corrisponda una reale identità, accettabile on-line da parte di tutti i soggetti con i quali vengono concluse compravendite. E ciò, evidentemente, al fine di consentire la tutela delle controparti contrattuali nei confronti di eventuali inadempimenti. Infatti, come evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Sez. 5, 8 novembre 2007, n. 46674, Rv. 238504).
Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui risulta pacifico che l'imputato avesse utilizzato i dati anagrafici di una donna aprendo a suo nome un account e una casella di posta elettronica, facendo, così, ricadere sull'inconsapevole intestataria, e non su se stesso, le conseguenze dell'inadempimento delle obbligazioni di pagamento del prezzo di beni acquistati mediante la partecipazione ad aste in rete.
3.2. - Il secondo motivo di ricorso - con cui si lamenta che la Corte d'appello avrebbe negato la concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6), sull'assunto che la somma versata dall'imputato in favore della parte offesa sembra coprire appena le spese sostenute dalla predetta per partecipare al procedimento di primo grado, mentre la stessa parte offesa avrebbe ammesso nel giudizio di primo grado, di non aver avuto alcun nocumento economicamente apprezzabile dall'intera vicenda - è inammissibile, per genericità.
La difesa di parte ricorrente si limita, infatti, ad affermare che la persona offesa avrebbe ammesso in primo grado di non aver avuto un documento apprezzabile dall'intera vicenda, senza specificare quale sia stato il momento del versamento della somma di Euro 300,00 in favore della stessa persona offesa (se precedente al giudizio, come richiesto dal citato numero punto 6) dell'art. 62 c.p.) e, soprattutto, senza procedere, neanche in via di mera prospettazione, ad una quantificazione di massima del danno provocato. A tali considerazioni deve, peraltro, aggiungersi quanto correttamente rilevato dalla Corte d'appello circa l'evidente irrisorietà dell'importo versato, che sembra coprire appena le spese sostenute dalla persona offesa per partecipare al procedimento di primo grado.
3.3. - Fondato è, invece, il terzo motivo di gravame, relativo alla quantificazione della pena.
Dalla lettura della sentenza impugnata, emerge, infatti, che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva è stata calcolata in base al disposto dell'art. 135 c.p., nel testo vigente a seguito della modifica apportata dalla L. n. 94 del 2009, art. 3, comma 62; e, dunque, sulla base della somma giornaliera di Euro 250,00. Come correttamente osservato dal ricorrente, il fatto contestato è del (OMISSIS), data precedente all'entrata in vigore di detta modifica. Deve, perciò, trovare applicazione il criterio di ragguaglio previgente, in ragione di Euro 38,00 al giorno.
4. - Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente alla sanzione sostitutiva, che deve essere rideterminata in Euro 1140,00 (somma ottenuta moltiplicando il valore giornaliero di Euro 38,00 per 30 giorni di pena detentiva).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla conversione della pena pecuniaria, che rideterminata in Euro 1140,00.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.
Sentenza depositata in Cancelleria il 3 aprile 2012