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Contratti tra privati e P.A. | Senza forma scritta il professionista non ha diritto al compenso

Nei contratti tra privato e pubblica amministrazione vi è necessità di forma scritta a pena di nullità?

Ci eravamo occupati delle conseguenze dell’affidamento di un incarico professionale senza copertura finanziaria.

In questo articolo scopriremo se il professionista ha diritto al compenso in caso di un contratto stipulato senza forma scritta.

I CONTRATTI STIPULATI TRA I SOGGETTI PRIVATI E LE P.A.

A giudizio della Corte di Cassazione (sez. I, sentenza n. 24679 del 04.11.2013) affinché il professionista possa pretendere il compenso per l’opera svolta (ad es. opera di progettazione, di consulenza, parere, etc…) alla pubblica amministrazione deve dimostrare di aver ricevuto l’incarico professionale in forma scritta da un organo abilitato a rappresentare l’ente pubblico.

Il contratto tra privato e pubblica amministrazione inoltre, deve essere sottoscritto da entrambi le parti in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente.

Non è valido, infatti, un contratto stipulato a distanza o a mezzo corrispondenza (es. lettere, e-mail, fax, etc..).

Deve sussistere, in altre parole, un contratto sottoscritto in contemporanea da entrambi le parti.

La legge consente, infatti, la stipula del contratto a distanza (fermo restando la forma scritta) solamente quando avvenga tra ditte commerciali (R.D. 18 novembre 1923, n. 2240, art. 17, richiamato dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 87).

A tal proposito, quindi, non ha rilevanza che al professionista sia stato commissionato un incarico di progettazione e conseguentemente l’abbia portato a termine con messa a disposizione della P.A.

IL CASO DECISO DALLA CASSAZIONE SEZ. I, DEL 04/11/2013, N. 24679.

Nel caso affrontato dalla sentenza in commento, dei professionisti avevano adito il Tribunale per ottenere la condanna di un Comune siciliano al pagamento del compenso per l’attività professionale di progettazione di lavori pubblici.

Gli stessi avevano ricevuto un primo incarico con una delibera, cosicché ognuno aveva sottoscritto un distinto disciplinare di incarico.

Dopo la consegna degli elaborati, il Sindaco aveva inviato ai progettisti una lettera con la quale si chiedeva la redazione di un nuovo progetto unitario che tenesse conto di sopraggiunte scelte progettuali.

Veniva conferito, quindi, un nuovo incarico formalizzato con delibera della Giunta comunale che investiva congiuntamente i quattro professionisti dell’incarico di redigere un nuovo progetto ed era stato sottoscritto un disciplinare di incarico di progettazione e direzione lavori.

Il progetto veniva conseguentemente portato a termine, ma l’Amministrazione comunale rimaneva inerte non corrispondendo il compenso richiesto dai professionisti.

Una volta instaurato il giudizio, il Comune chiedeva il rigetto della richiesta considerato che “al momento della sua proposta contrattuale il Sindaco non era stato autorizzato a stipulare alcun contratto e non era quindi in grado di esprimere alcuna volontà negoziale dell’Ente locale”.

Inoltre, la delibera della giunta comunale non richiamava la lettera del Sindaco di proposta dell’incarico e non prevedeva la copertura finanziaria.

Sia il Tribunale, che la Corte di appello, avevano – quindi – escluso la volontà dell’organo deliberativo del Comune di conferire validità a un precedente atto invalido del Sindaco.

La Corte ha anche escluso l’utilizzabilità della lettera “perchè priva dell’indicazione degli elementi costitutivi del contratto (determinazione del compenso o delle modalità di determinazione, tempi di consegna dei progetti, modalità di pagamento) e insuscettibile di essere considerata una valida proposta contrattuale.”

NECESSARIA LA FORMA SCRITTA AD SUBSTANTIAM E LA CONTESTUALITÀ NEI CONTRATTI DELLA P.A.

A confermare le superiori pronunce ci pensa la Corte di Cassazione con la sentenza in commento, richiamando un consolidato orientamento in giurisprudenza (Cass. civ. sezione 3^ n. 1702 del 26 gennaio 2006, sezione 1^ n. 1167 del 17 gennaio 2013 e n. 1752 del 26 gennaio 2007).

Precisando che per il contratto d’opera professionale, “quando ne sia parte committente una P.A., e pur ove questa agisca “iure privatorum”, è richiesta, in ottemperanza al disposto del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17, la forma scritta “ad substantiam”, che è strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa nell’interesse sia del cittadino.

Costituendo remora ad arbitri, sia della collettività, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, e, per tale via, espressione dei principi di imparzialità e buon andamento della P.A. posti dall’art. 97 Cost.

Il contratto deve, quindi, tradursi, a pena di nullità, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’ente interessato nei confronti dei terzi.

Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’ente abbia conferito un incarico a un professionista.

Non rileva neppure se l’organo abbia autorizzato il conferimento, in quanto essa non costituisce una proposta contrattuale, ma un atto con efficacia interna all’ente avente natura autorizzatoria.

Sulla necessità della forma scritta si segnala altresì  la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civile, 4 settembre 2009, n. 19206, citata in un parere dell’Autorità nazionale anticorruzione (A.N.A.C.).

CONTRATTI CONCLUSI A DISTANZA

Del pari, è escluso che un simile contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente.

Il contratto a mezzo corrispondenza, infatti, può essere concluso quando i contraenti siano ditte commerciali  (R.D. 18 novembre 1923, n. 2240, art. 17, richiamato dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, art. 87).

Rilevato, pertanto, che “al momento della sua proposta contrattuale il Sindaco non era stato autorizzato a stipulare alcun contratto e non era quindi in grado di esprimere alcuna volontà negoziale dell’Ente locale, […] la Corte ha correttamente escluso che vi sia stata alcuna volontà dell’organo deliberativo del Comune di conferire validità a un precedente atto invalido del Sindaco.

Avv. Giuseppe Maniglia

Collegamenti esterni: Forma dei contratti pubblici

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