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Occupazione posto auto condominiale | Risarcimento danno patrimoniale e danno morale

OCCUPAZIONE DEL POSTO AUTO CONDOMINIALE: LA CASSAZIONE SI PRONUNCIA SUL RISARCIMENTO DEL DANNO

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17460/2018, si è pronunciata in merito al risarcimento del danno per illecita occupazione di un posto auto all’interno di un’area condominiale a discapito di chi ne ha parimenti diritto.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione di merito che aveva escluso il risarcimento del danno non patrimoniale in un caso di occupazione stabile di un posto auto in un condominio, mediante un’autovettura lasciata in sosta per l’intero giorno e da oltre un anno, dello spazio antistante la rampa di accesso al garage condominiale.

OCCUPAZIONE DEL POSTO AUTO CONDOMINIALE: RISARCIMENTO DEL DANNO PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE

In tema di condominio negli edifici, ove l’uso della cosa comune (es. il posto auto) da parte di uno dei condomini avvenga in modo da impedire quello, anche solo potenziale, degli altri partecipanti, il danno patrimoniale per il lucro interrotto è da ritenere in re ipsa.

Non altrettanto è da dirsi in relazione al danno non patrimoniale, quale disagio psico-fisico conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, come ad esempio il posto auto.

Occupazione del posto auto condominiale: Risarcimento del danno patrimoniale solo in casi ristretti

Del danno non patrimoniale si può ammettere il risarcimento solo in conseguenza della lesione di interessi della persona di rango costituzionale o nei casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 2059 c.c., e sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile.

Di seguito il testo integrale della sentenza della Corte di Cassazione n. 17460/2018.


FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Antonietta Lioia ha proposto ricorso in cassazione articolato in tre motivi avverso la sentenza del Tribunale di Foggia del 15 novembre 2016, che aveva in parte accolto l’appello di Anna Maria Paradiso ed invece rigettato l’appello di Savino Laguardia contro la sentenza n. 449/2008 resa dal Giudice di Pace di Cerignola e perciò respinto la domanda di risarcimento dei danni (per occupazione del posto auto condominiale, ndr) avanzata dalla Lioia, compensando per intero le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Antonietta Lioia convenne i coniugi Annamaria Paradiso e Savino Laguardia per sentirli condannare all’immediata rimozione di un’autovettura di proprietà del Laguardia lasciata in sosta per l’intero giorno e da oltre un anno davanti alla rampa d’accesso del garage condominiale.

L’attrice chiese anche la condanna solidale di entrambi i convenuti al risarcimento dei danni per il patito disagio (mancato uso del posto auto condominiale, ndr) , da liquidarsi secondo equità.

Il Giudice di Pace di Cerignola, con sentenza del 10 ottobre 2008, dopo aver preso atto che l’automobile era stata rimossa in data 28 febbraio 2007, e perciò disposto “l’estromissione” del Laguardia con ompensazione delle spese, condannò Annamaria Paradiso a risarcire ad Antonietta Lioia i danni stimati in …, nonché al rimborso delle spese di lite.

Furono proposti distinti appelli da Annamaria Paradiso e Savino Laguardia e il Tribunale di Foggia riformò la condanna risarcitoria, osservando come l’utilizzo illegittimo di uno spazio (condominiale, ndr) comune, pur costituendo illecito potenzialmente produttivo di danno, non potesse giustificare una liquidazione equitativa del danno (per occupazione del posto auto condominiale, ndr) stesso, essendo rimasta non provata la sussistenza di un concreto pregiudizio subito dalla comproprietaria.

Sull’appello del Laguardia, il Tribunale ritenne corretta la compensazione delle spese disposta dal primo giudice, avendo quegli causato la necessità del promovimento della causa nei suoi confronti in quanto autore materiale dell’illecito.

Essendo applicabile la previgente formulazione dell’art. 92 c.p.c., il Tribunale compensò le spese di entrambi i gradi tra tutte le parti, visti il parziale accoglimento dell’appello della Paradiso e la particolarità della questione riguardante il Laguardia.

Il primo motivo del ricorso principale di Antonietta Lioia deduce l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., sostenendo che mediante le tre fotografie e le due lettere raccomandate allegate sarebbe risultata evidente la prova del posizionannento della Fiat Panda sulla rampa condominiale, e quindi anche del danno da disagio patito.

Su proposta del relatore, che riteneva che tanto il ricorso principale quanto i due ricorsi incidentali potessero essere rigettati per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

La ricorrente Antonietta Lioia ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c.

I. il primo motivo del ricorso principale di Antonietta Lioia è inammissibile, in forza dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., perché non si riferisce con specificità alla ratio decidendi della sentenza impugnata. La ricorrente principale invoca l’esame delle risultanze probatorie che dimostrerebbero come la Fiat Panda veniva parcheggiata sulla rampa di accesso al garage condominiale, ma si tratta di fatto non decisivo, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in quanto fatto che non avrebbe ex se portato ad una diversa soluzione della controversia. Il Tribunale di Foggia non ha detto che non fosse stato provato l’utilizzo illecito dello spazio comune da parte dei convenuti, ma ha osservato come non risultasse dimostrato un conseguente danno concreto subito dalla condomina Lioia.

E’ peraltro del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte sostenere che, ove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei condomini della cosa comune in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri partecipanti, possa dirsi risarcibile, in quanto in re ipsa, il danno patrimoniale per il lucro interrotto, come quello impedito nel suo potenziale esplicarsi (cfr. Cass. Sez. 2, 07/08/2012, n. 14213; Cass. Sez. 2, 12/05/2010, n. 11486).

Non è invece certamente configurabile come in re ipsa un danno non patrimoniale, inteso come disagio psico-fisico, conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, potendosi ammettere il risarcimento del danno non patrimoniale solo in conseguenza della lesione di interessi della persona di rango costituzionale, oppure nei casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 2059 c.c., e sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile (arg. da Cass. Sez. U, 11/11/2008, n. 26972).

III. il ricorso principale e i due ricorsi incidentali vanno perciò rigettati, compensandosi tra le parti le spese del giudizio di cassazione in ragione della loro reciproca soccombenza. Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le rispettive impugnazioni integralmente rigettate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed i ricorsi incidentali, e compensa tra le parti le spese sostenute nel giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei due ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 aprile 2018.

Copia non ufficiale e contenente delle omissioni decise dall’autore.

Fonti: Corte di Cassazione

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